L’immagine sopra è un dipinto del pittore del silenzio Edward Hopper (Cape Cod Morning – 1950, Smithsonian American Art Museum) e mi sembra molto adatta per introdurre questo argomento. Specialmente in questo periodo di segregazione, la presenza nascosta del silenzio, come si dice, “c’è ma non si vede” (e non si sente)…
Il silenzio può essere comunemente percepito con imbarazzo, tant’è che c’è sempre qualcuno che cerca di interromperlo con qualche gesto o parola.
In occidente spesso è sinonimo di aver poco o niente da dire…
Può essere associato a sentimenti negativi quali tristezza, solitudine, angoscia…
Se utilizzato da parte di qualcuno dal quale attendiamo una risposta o una reazione, ci può ferire mortalmente…
Banalmente può essere indotto più facilmente dall’attuale utilizzo delle mascherine, diventando un silenzio forzato che può essere interpretato come mancanza di libertà…
Se praticato da uno psicologo-psicoterapeuta può destabilizzare…
Ma il silenzio può anche far bene.
Ne sentiamo il bisogno per trovare un po’ di pace.
Tra chi si ama e si rispetta nel silenzio c’è complicità.
Nel momento in cui decidiamo di stare in silenzio, è perché ci sembra la soluzione migliore.
Equivale ad uno stato di tranquillità e serenità dopo un avvenimento positivo.
Nel particolare momento in cui stiamo vivendo, diventa un prezioso alleato che ci può accompagnare nella nostra quotidianità e aiutarci ad osservare, riflettere, pensare, elaborare, programmare, capire, conoscere di più se stessi egli altri.
La nostra attuale situazione può davvero essere sfruttata positivamente, grazie proprio al silenzio.
Insomma il silenzio può assumere davvero una quantità enorme di significati in base al contesto che si sta vivendo e, guarda caso, porta sempre ad una reazione…
Ma, allora, se porta sempre a delle conseguenze di pensiero o di azione nell’altro o negli altri, sarà vero che stare in silenzio significa non comunicare?…
Il silenzio è compreso all’interno di uno dei cinque assiomi della comunicazione. Vale a dire la massima espressione della comunicazione interpersonale mai elaborata fino ad oggi. Il primo assioma dice: non si può non comunicare. Significa che ogni comportamento è sempre una comunicazione. Così, anche il silenzio rappresenta un comportamento e in quanto tale comunica qualche cosa. L’interazione è sempre presente anche se involontaria, proprio come quando, ad esempio, ci troviamo in un autobus e guardiamo il nostro smartphone o quando siamo in coda alle poste e ci si guarda senza proferire parola…
Per descrivere ancora meglio cos’è il silenzio e quanto può essere importante nella vita di tutti i giorni e fondamentale a fini terapeutici, possiamo parlare delle sue finalità principali:
Se pensiamo alle nostre conversazioni quotidiane, quando e quanto si sta davvero ad ascoltare l’altro prendendoci tutto il tempo necessario per formulare pensieri e risposte ponderati? Tuttalpiù ci troviamo calati in un botta e risposta, quasi come fosse una gara a chi la spara più grossa.
In verità il silenzio ha un potenziale immenso se utilizzato come strumento di ascolto, ci aiuta a capire il nostro interlocutore e a sviluppare empatia. Come in privato, è uno strumento che porta ad ottimi risultati anche nel lavoro, non a caso in ambito comunicativo si parla molto di dedicare tempo di qualità ad ascoltare il cliente per comprendere le sue vere necessità…
Se parlo della mia professione, il silenzio ha un ruolo sostanziale per conoscere il mio paziente e farlo sentire in un luogo sicuro dove possa veramente lasciarsi andare ed esprimersi con i suoi tempi e le sue modalità. Oltre alla conoscenza, praticare il silenzio mi consente lo studio del suo processo di pensiero per individuare la causa della sua sofferenza e la comprensione della problematica da trattare.
Allo stesso tempo, i momenti di silenzio da parte del paziente, favoriscono l’elaborazione di pensieri e riflessioni su ciò che sta esternando proprio in quell’istante. In questa ottica, il silenzio sprona il paziente a trovare in autonomia la via per superare il suo disagio, con la guida e il supporto costanti della figura dello psicoterapeuta. Una sorta di autoguarigione in base alle caratteristiche e alle condizioni del paziente stesso e, posso proprio dire che, diventare autori del proprio successo è davvero ciò che distingue una psicoterapia efficace.
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