“Il quarto stato”, Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1901, Museo del Novecento, Milano.
Da anni conduco corsi di rilassamento, incontri terapeutici e gruppi di supporto. Ogni volta i partecipanti arrivano con obiettivi precisi: imparare una tecnica, raggiungere un risultato pratico, migliorare un aspetto della loro vita. Tuttavia, ogni volta c’è un elemento che sorprende sempre quasi tutti, me inclusa: il potere della condivisione. Al termine di ogni percorso, ciò che emerge come il vero punto di forza non è solo il risultato raggiunto, ma il valore del confronto, dello scambio, del sentirsi ascoltati e del non sentirsi soli. Spesso esce l’espressione: “siamo tutti nella stessa barca” e la reale consapevolezza di questo.
Viviamo in una società che esalta l’individualità. Siamo cresciuti con l’idea che per superare le difficoltà dobbiamo affidarci soprattutto alle nostre forze, dimostrare di essere autosufficienti. Ma è davvero così? In realtà, spesso la chiave per affrontare i nostri problemi non risiede nell’individualità, ma nell’interazione. Confrontarsi, condividere e sentirsi parte di un gruppo non è solo terapeutico, ma anche preventivo: aiuta a costruire una rete di supporto che ci rende più forti e meno vulnerabili.
Anche esperienze brevi, come quelle vissute nei miei corsi, mostrano quanto sia importante sentirsi parte di qualcosa di più grande. È nel legame umano che troviamo forza, motivazione e resilienza. Da soli possiamo fare tanto, ma insieme possiamo andare molto oltre. Purtroppo, stiamo perdendo questa consapevolezza. L’isolamento sembra diventare una nuova normalità: ci convinciamo di poter fare tutto da soli e finiamo per sentirci più soli e più in difficoltà.
La solitudine non è solo l’assenza di persone intorno a noi. Esiste anche una solitudine più profonda, più insidiosa: quella interna. Nasce dalla mancanza di connessione autentica con gli altri. Spesso ci limitiamo a conversazioni superficiali, mostriamo solo una parte di noi stessi e fatichiamo ad aprirci davvero. A volte per paura, altre per vergogna. Questa chiusura ci porta a non condividere le nostre difficoltà, lasciandoci soli ad affrontare problemi che, con il giusto supporto, potrebbero sembrare più leggeri.
Confrontarsi e condividere non significa semplicemente parlare: significa aprirsi con onestà, accettare le proprie vulnerabilità e accogliere quelle altrui. È un atto di coraggio, ma anche di liberazione. Quando ci apriamo, scopriamo che non siamo soli, che le nostre paure e difficoltà sono spesso condivise da altri. Questo senso di appartenenza è una delle più potenti risorse che possiamo costruire.
Se vogliamo costruire una società più forte, dobbiamo partire dal dialogo. Educare i nostri figli a confrontarsi, ad esprimere ciò che sentono, a costruire relazioni autentiche significa dare loro degli strumenti per affrontare le sfide della vita con meno paura e più resilienza. È un dono che possiamo offrire loro, ma anche a noi stessi: perché, insegnando il valore dell’apertura, impariamo noi stessi a praticarla ogni giorno.
La forza del gruppo, il confronto e la condivisione sono risorse troppo spesso sottovalutate. Forse è il momento di ripensare il nostro approccio, di ricostruire reti di relazioni autentiche che ci permettano di prevenire e affrontare i disagi con più consapevolezza. Non siamo fatti per vivere isolati ma è sopratutto nel legame con gli altri che troviamo la nostra vera forza.