La solitudine

La differenza tra solitudine percepita e solitudine volontaria

C’è una distinzione sostanziale da fare quando si parla di solitudine: ci sono persone che si sentono bene praticando la solitudine e persone che, invece, farebbero a meno di sentirsi sole.

Premettendo che la solitudine può essere anche una condizione imposta ma temporanea (come aver perso una persona ed essere rimasti soli o trovarsi in isolamento forzato, come la maggior parte di noi ha potuto sperimentare con gli ultimi accadimenti), il fattore essenziale è come questa può essere affrontata da ognuno.

Ci sono persone che ne soffrono enormemente e che non riescono ad accettare la solitudine nella loro vita, mentre altre che cercano la solitudine per ritrovare sé stesse e, magari, ricaricare le pile.

Soffrire la solitudine è da ritenersi assolutamente normale in psicologia, in quanto rappresenta uno stato psicologico al pari di altri sentimenti negativi che fanno parte della nostra esistenza, perciò è naturale provarla.

Quando, però, questa condizione diventa eccessiva e viene associata a tristezza, depressione o paura, si può parlare di una situazione patologica che va ben oltre alla solitudine fisica. Ad esempio, ci si può sentire soli anche trovandosi in mezzo ad altre persone e vivendo un senso di distaccamento dal mondo difficile da arginare, che porta ad uno stato di malessere diffuso.

 

La solitudine che fa male

Quali sono i sintomi quando ci si sente soli?

La solitudine può farci sentire incompresi e diversi dagli altri, disconnessi e abbandonati dal resto del mondo.

C’è un grande desiderio di senso di appartenenza che non risulta essere appagato, un grande desiderio di condivisone che non si riesce ad esaudire. Del resto, il bisogno di condividere è alla base delle relazioni umane.

A volte si può essere predisposti alla solitudine e, spesso, questo sentimento può essere accompagnato da una certa timidezza, introversione, malinconia, che possono portare il soggetto ad isolarsi di proposito.

Il risvolto negativo è che la tendenza ad isolarsi può portare ad una maggiore diffidenza verso gli altri, portando il soggetto a mal interpretare gli atteggiamenti delle persone che lo circondano.

Anche dal punto di vista fisico la solitudine percepita influenza negativamente lo stato di salute: indebolisce il sistema immunitario, crea un maggior rischio cardiovascolare con aumento della pressione sanguigna, favorisce lo sviluppo del diabete di tipo 2 e dell’artrite, innalzando quindi il rischio di mortalità.

Diversi studi hanno dimostrato che chi vive una condizione prolungata di solitudine attiva le stesse aree celebrali che determinano il dolore fisico. Il dolore psicologico quindi genera le stesse conseguenze di quello fisico.

Inoltre, complice il periodo di pandemia che ha accentuato notevolmente il senso di distacco sociale, alla solitudine viene associato anche un aumento dei disturbi del sonno.

 

La solitudine che fa bene

Come dicevo all’inizio dell’articolo, l’altra faccia della solitudine può rappresentare un percorso propedeutico per costruire la nostra identità e aumentare la nostra autostima.

In determinati passaggi significativi della nostra vita, la solitudine può fare da sfondo al nostro stato d’animo, come quando intraprendiamo cambiamenti legati al nostro stile di vita o quando dobbiamo prepararci a qualcosa di importante oppure, semplicemente, quando ci si ferma un attimo a riflettere ritagliandoci degli spazi per la nostra crescita interiore.

Si, perché essere soli significa anche crescere e conoscerci da dentro, cosa che magari non si riuscirebbe a fare in costante compagnia di altre persone, in quanto questo comporterebbe adeguarsi troppo agli altri, sfavorendo la connessione con noi stessi.

In questa accezione positiva la solitudine può anche rafforzare la nostra autonomia e più in generale potremo dire che, come in tutte le cose, quando riusciamo ad essere equilibrati ed alternare momenti di solitudine volontaria a momenti di socialità, troviamo un ottimo compromesso per il nostro benessere psicofisico.

 

Gestione della solitudine

In base a quanto finora descritto, parlando delle due strade percorribili che ci offre la solitudine e la cui scelta dipende da ciascuno di noi, quello che ci tengo a dire è che anche nei casi più critici è sempre possibile uscire dal disagio della solitudine.

Oltre alle varie pratiche come ad esempio lo Yoga e il Training Autogeno che aiutano a rilassarci e a prendere coscienza e controllo di noi stessi, un buon inizio è quello di entrare a far parte di gruppi in cui sviluppare la socialità, come corsi, associazioni, eventi. Iniziare a coltivare nuove amicizie o riprendere vecchi rapporti, magari anche solo on-line, anche se questo può voler dire uscire dai nostri schemi e provare un po’ di quel sano imbarazzo di quando ci si butta in esperienze che esulano dalle nostre solite abitudini.

Un’altra valida soluzione proposta dalla psicoterapia è quella di riesaminare la nostra storia e il nostro vissuto. Innanzitutto partendo dalla nostra famiglia d’origine, che è il nucleo per eccellenza in cui siamo stati formati e che ci ha fatto elaborare la nostra personale percezione della solitudine e come questa, ora, influenzi il nostro contatto con la società.

Ripercorrere la storia dei nostri legami più importanti aiuta a riconnetterci con noi stessi e con gli altri in modo più funzionale ai nostri bisogni e ai nostri desideri.

 

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